Storia
Ave tandem ommi collegio
rompiscatolas egregio
te saluto et tibi facio
gestum classicum cum bracio!
L’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati
Nel quadro delle attività svolte dall’Opera per l’Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, un capitolo significativo è stato riservato al settore dell’assistenza ai minori, estrinsecata nell’arco di oltre un trentennio, dal 1947 al 1980, mediante l’istituzione e il mantenimento in attività di numerosi istituti educativo-assistenziali. Il primo collegio riservato esclusivamente a profughi è il Tommaseo di Brindisi, aperto nel 1946 che chiuderà nel 1951. Nel 1948 vengono aperti a Grado i convitti Fabio Filzi e Nazario Sauro, per allievi maschi che frequentavano rispettivamente le Scuole Medie e l’Avvviamento, a Merletto di Graglia la Casa del Bambino Giuliano e Dalmata Oscar Sinigaglia per bambini delle elementari, per le ragazze, la Casa Bambina e il Convitto Femminile a Roma. Ma molti ragazzi profughi sono stati ospiti di convitti disseminati per l'Italia: Gemona, L'Aquila, Montalcino, Pescara, Rieti; erano mescolati ad allievi di varia provenienza e composizione socio-economica. Molti di loro, compresi quei convittori di Brindisi che non avevano terminato il ciclo scolastico, alla fine sono confluiti al Filzi di Gorizia. “D’estate, per i convittori che non potevano trascorrere le vacanze in famiglia, venivano organizzati dei soggiorni in montagna in collaborazione col convitto Nazario Sauro: a Sappada nel 1949, a Forni Avoltri nel 1953, a Camporosso nel 1954, a Sappada nel 1955, a Socchieve nel 1956 e, dal 1957 al 1961, ancora a Sappada. Alcuni di questi ragazzi hanno compiuto tutto il loro iter scolastico nei collegi per i figli dei profughi: uno di essi, ha frequentato la IV e V classe della scuola elementare (anni scolastici 1949/50 e 1950/51) a Merletto di Graglia, la scuola media al convitto Fabio Filzi di Gorizia (anni scolastici 1951/52 – 52/53 – 53/54), il I anno dell’Istituto Tecnico Nautico di Trieste (1954/55) nel collegio dell’Opera Figli del Popolo “Semente Nova” di Trieste e gli anni seguenti fino al diploma, conseguito nel 1960, nel convitto Nazario Sauro, sede del Ferdinandeo, di Trieste … e, tutte le estati, in colonia in montagna! Era così per più d’uno di questi ragazzi, perché qualcuno non aveva più una famiglia o questa era in condizioni economiche così disagiate che non poteva permettersi la spesa del viaggio del figlio dal convitto a casa e ritorno, per cui il convitto diventava per lunghi anni la casa vera e propria del giovane; i compagni una sorta di fratelli e più, i superiori qualcosa di più e di diverso dai semplici superiori (Carmen Palazzolo Debianchi)”.
Il convitto Fabio Filzi
Il “Convitto Istriano Fabio Filzi” era nato a Pisino fra le due guerre. Nel 1948, per iniziativa dell'Opera per l'assistenza ai Profughi Giuliano Dalmati, riapre a Grado, nell'ex albergo Excelsior, una struttura per accogliere i figli dei profughi e viene intitolata a Fabio Filzi per ripristinare la tradizione di Pisino. Viene nominato Direttore Luigi Prandi, popolare come Tulzo, già Vice-direttore a Pisino e Direttore a Brindisi nel 1947/1948. Poiché a Grado non esistevano scuole superiori, in previsione del fatto che numerosi allievi avrebbero finito la terza media, viene programmato il trasferimento a Gorizia, che avviene nel 1950. Poiché la nuova sede in Campagnuzza (nella ex caserma della Julia), all'interno del Villaggio Giuliano, sarà pronta solo nella primavera del 1951 (verrà inaugurata il 15 aprile), nei primi mesi gli studenti vengono accolti nell'ex seminario vescovile in centro a Gorizia. Al Filzi, dove i convittori erano divisi in squadre di 20/24 elementi, arrivano anche gli allievi del Sauro che proseguono negli studi. Si crea una seconda squadra, comprensiva di ragazzi che frequentano l’Istituto Industriale, allora quasi naturale sbocco per quelli che provenivano dall’Avviamento, e via breve per una rapida occupazione. I componenti la seconda squadra vengono scherzosamente classificati come “stagnini e spellafili”. Internamente al collegio vengono istituiti corsi di licenza media, mentre da Campagnuzza quotidianamente la corriera porta in centro a Gorizia gli studenti superiori che si distribuiscono nei vari istituti pubblici: licei Classico e Scientifico, istituti Geometri, Ragionieri, Magistrale, Professionale Industriale.
“L’educazione impartita ai ragazzi è ispirata ai valori: Dio, Patria, famiglia. Le giornate cominciano e finiscono con la preghiera e il saluto alla bandiera; l’organizzazione delle attività è un continuo richiamo all’ordine, alle regole, agli orari: per la sveglia, la colazione, la pulizia personale, la scuola, lo studio, la ricreazione,…. I ragazzi indossano una divisa e sono ripartiti in squadre, ognuna delle quali è affidata ad un istitutore, ha un posto a tavola, in dormitorio, nelle sfilate … ; nelle uscite marciano in fila e i più piccoli sono sempre accompagnati dagli istitutori. Tutto ciò non sembra però aver lasciato un ricordo negativo negli ex alunni, ormai settantenni e più, ma stava ovviamente loro stretto quando avevano 15/16 anni per cui ogni occasione era buona per eludere le regole e uscire dal rigore del collegio. Una grande opportunità era offerta dallo sport e dalla recitazione.
Attività extrascolastiche: sport e teatro. Non tutti i ragazzi del convitto praticavano qualche sport, ma l’educazione fisica era molto curata e obbligatoria la partecipazione ai saggi ginnici di fine anno. C’erano poi i tornei spontanei di “ploze”, che si svolgevano durante la ricreazione pomeridiana, e quelli, ugualmente spontanei, di pallavolo. Ma ci sono stati anche i campionati veri e propri in cui gli alunni del Filzi si sono fatti onore conquistando il 2° posto nel Campionato Italiano CSI di Pallavolo a Napoli nel 1954/55 e l’anno dopo il 3° posto a Brescia, assieme al titolo di Campioni del Nord Italia. Altri, numerosi primati sono stati conquistati dai ragazzi del Filzi nell’atletica leggera: corsa piana e a ostacoli, lancio del disco, del peso e altro. Agli atleti, che rendevano “visibile” agli occhi del mondo il convitto e ne innalzavano l’immagine, erano riservati particolari privilegi, come una dieta più ricca di calorie e una maggior libertà di movimento, perciò erano anche un po’ invidiati dai compagni. Oltre che nelle attività motorie, gli alunni del Filzi si impegnavano in quelle “artistiche” del canto e del teatro. Fin da Grado il convitto aveva infatti un coro, guidato dal Maestro Antonio Milossi, che cantava nelle Messe solenni nel duomo del paese ed ha proseguito la sua attività a Gorizia, sotto la guida del fratello del Milossi di Grado. Per quanto riguarda il teatro, gli alunni del convitto allestivano autonomamente dei veri e propri spettacoli musicali e in prosa, che venivano rappresentati nell’Aula Magna del convitto durante i saggi di fine anno scolastico o in particolari ricorrenze, ma venivano inscenati con successo anche fuori della scuola (Carmen Palazzolo Debianchi)”. Vice-Direttore del Filzi dal 1951 al 1954 è Renato Zele, Sergio Schipizza dal 1954 al 1961, quando viene inviato quale economo ai collegi femminili di Roma. Lo sostituisce Umberto Perini, già allievo e istitutore. Nel 1964 Luigi Prandi, che è sempre stato alle dipendenze del Ministero della Pubblica Istruzione (Convitti Nazionali), va al Collegio Nazionale di Prato in qualità di Vice Rettore e Sergio Schipizza viene nominato Direttore del Filzi al suo posto. Alla morte prematura di Schipizza, avvenuta nel 1967, viene nominato Direttore Bruno Lokar che era Istitutore nel Convitto Nazario Sauro di Trieste, anche lui precocemente scomparso nel 1977. Va precisato che dopo il 1956 gli studenti delle superiori continuano gli studi al “Nazario Sauro” di Trieste. Il “Filzi” viene ricostruito sulla stessa area nel 1967; dopo il completamento della nuova costruzione, il numero di allievi ospitati, inclusi rimpatriati di varie provenienze, si riduce intorno alle 90 unità e i ragazzi vengono inviati ogni giorno in corriera alla scuole medie cittadine. Nella nuova sede il convitto eserciterà la sua funzione fino al 1980.
Il Convitto “Nazario Sauro” di Grado e Trieste.
Questo Istituto nasce nel 1948 a Grado, viene ospitato nell’albergo Villa Ara e diretto da Ferruccio Robba; nell’anno scolastico 1950/1951 viene commissariato e la gestione è affidata ad Amedeo Colella. L’anno successivo la sede diventa l’Hotel Adria e la direzione viene assegnata al dott. Mario Cassar. I ragazzi diventano in breve un’ottantina e frequentano la scuola di avviamento al lavoro del paese, che è la scuola di “Arti e Mestieri”, a indirizzo marinaro. A quell’epoca la scuola media non era infatti “unica” ma aveva diversi indirizzi: scuola media vera e propria, a indirizzo umanistico, preparatoria agli studi liceali, magistrali e nautici e scuola di avviamento al lavoro commerciale, industriale o altro, a seconda delle esigenze dell’ambiente sociale in cui sorgeva.
Il dott. Mario Cassar, siciliano proveniente dalla carriera militare, diede al “Sauro” un’organizzazione di tipo militaresco, per cui i ragazzi indossavano una divisa e erano divisi in squadre, ognuna delle quali era affidata ad un Istitutore ed aveva riservato un posto a tavola. Inoltre la loro giornata era scandita con rigida precisione dall’orario: della sveglia, colazione, alzabandiera, scuola, studio, ricreazione, passeggiata, ammainabandiera, riposo. La disciplina era più rigida nelle classi inferiori, meno alle superiori. Molto importante, come in tutte queste strutture, era la figura dell’Istitutore. Il “Nazario Sauro” rimase a Grado fino al 1954, quando fu trasferito a Trieste. La scelta delle due città da parte dei dirigenti dell’Opera Profughi fu determinata anche dal fatto che ormai la maggioranza degli alunni avevano concluso il ciclo della scuola secondaria inferiore e a Grado non c’erano istituti superiori. Pertanto anche i rimanenti alunni della scuola media inferiore e dell’avviamento vennero trasferiti a Gorizia e Trieste, al seguito dei più grandi. A Trieste c’era già dal 1953 un piccolo nucleo di ragazzi profughi frequentanti le scuole superiori della città, ospitati prima a Villa Geiringer e poi al Ferdinandeo.
Il Ferdinandeo – l’antico chalet da caccia dell’arciduca Ferdinando d’Austria – ospitò i ragazzi dell’avviamento “Nazario Sauro” di Grado, con la denominazione di “Convitto Capodistria”, fino a esaurimento degli allievi del corso inferiore per ospitare, a partire dall’anno scolastico 1955/56, solo gli studenti della scuole superiori dei vari indirizzi.
Nel 1962 si fu costretti ad un nuovo trasferimento, questa volta presso Villa Haggi-Costa, in Passeggio S. Andrea, dove si rimase fino al 1968 quando, finalmente, fu completata la costruzione specificatamente destinata ai ragazzi profughi delle scuole superiori: il Convitto “Nazario Sauro” di via Cantù 10.
La costruzione della struttura venne completata in 3 anni. L’inaugurazione avvenne, con una solenne cerimonia, alla presenza del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e di numerose autorità civili e religiose. I ragazzi ospitati dal collegio frequentavano le scuole superiori della città, prevalentemente l’Istituto Nautico e l’Istituto Tecnico Industriale; solo pochi singoli frequentavano altri Istituti. Nell’ultimo periodo di vita il collegio ospitò, a richiesta e contro pagamento della retta intera o di mezza retta, anche ragazzi non profughi ma residenti fuori Trieste e che desideravano frequentare una delle scuole superiori della città. Oltre a studiare, gli allievi si dedicano allo sport. Si costituisce spontaneamente una squadra di pallavolo che ottiene buoni piazzamenti in diversi tornei. Nei pomeriggi domenicali, a seconda delle preferenze, i ragazzi vanno a teatro o a seguire le partire di calcio della Triestina, naturalmente “… a piedi attraverso via dell’Eremo, via Rossetti, Galleria di Piazza Foraggi. Una scarpinata niente male!” come mi scrive un ex alunno … e sono d’accordo con lui, perché risiedo a Trieste e conosco il percorso che descrive.
Durante l’estate il “Nazario Sauro” e il “Fabio Filzi”, in collaborazione, organizzano il soggiorno montano “Monte Maggiore”, che pianta le tende, successivamente, a Forni Avoltri, Camporosso, Sappada, Socchieve. Al di là dei diversi trasferimenti, il “Nazario Sauro” fu diretto dal dott. Mario Cassar fino al dicembre 1962, quando questi venne destinato ad altro incarico e gli subentrò il dott. Umberto Zocchi, che ne era già il Vice-Direttore dal 1958, e ne detenne la Direzione fino alla chiusura, nel 1980, in applicazione della legge per la soppressione degli enti inutili.
Umberto Zocchi, come tanti operatori dell’Opera, era anch’egli profugo; nativo di Antignana, l’attuale Tinjan, si trasferì durante l’infanzia a Pola con i genitori, assieme ai quali e a un fratello, nel 1947, studente di 1A Liceo, esulò in Italia. Qui venne ospitato in un collegio per i figli di italiani all’estero di Montepulciano, da dove si recava quotidianamente nella vicina città di Firenze per frequentare la 2A Liceo. Concluse gli studi classici l’anno successivo, il 1951/52, con la “matura” al Liceo “Stellini” di Udine. Appena conseguito il diploma, nell’ottobre del 1952, Umberto Zocchi, dopo un passaggio da Istitutore al “Fabio Filzi”, venne assunto come tale al “Nazario Sauro” di Grado, del quale diventò prima Vice-Direttore e poi, a soli 32 anni, Direttore. (fonti: Carmen Palazzolo Debianchi e Umberto Zocchi)
Il convitto Niccolo’ Tommaseo
Il Niccolò Tommaseo di Brindisi era riservato ai ragazzi della Scuola Media Inferiore, del Liceo Classico e Scientifico, dell’Istituto Nautico e dell’Istituto Tecnico per Ragionieri e per Geometri, profughi dalle terre cedute alla Jugoslavia, ai quali si unirono orfani di guerra e figli di italiani all’estero. Era ospitato in una struttura imponente e prestigiosa, progettata dall’architetto Gaetano Minucci come collegio Navale della Gioventù Italiana del Littorio (GIL) e inaugurata con grande pompa, alla presenza di numerose e importanti autorità nel 1937. La costruzione, in cemento armato e tufo, ricorda il ponte di comando di una nave con la plancia, le “alette” di destra e di sinistra, i vari ponti e l’albero di manovra. Essa comprendeva, oltre alle aule scolastiche e ai laboratori di chimica e fisica, sette grandi camerate con 350/400 posti letto, due sale giochi, una foresteria, un cinema-teatro, una palestra con sottopalestra, due sale mensa, una cucina e locali di servizio vari come un salone da barbiere, la lavanderia, la stireria, lo spaccio, il magazzino, le docce, i servizi igienici. Facevano inoltre parte del complesso un campo di calcio regolamentare, due campi di pallacanestro, due di pallavolo, pedane per il lancio del peso e, in riva al mare, locali per il rimessaggio delle barche a vela e delle iole per il canottaggio. Dal settembre 1943 al settembre 1946 vi era stata ospitata l’Accademia Navale di Livorno e, quando questa era ritornata nella sua storica sede di Livorno, per interessamento, in particolare, di Padre Flaminio Rocchi, fu destinata a collegio per i ragazzi Profughi Giuliani e Dalmati: dai “piccoli” di undici anni ai “grandi” di diciannove/vent’anni, che avevano già fatto la guerra, sottraendo i primi alla promiscuità e alle cattive condizioni igienico/sanitarie dei campi profughi e dando a tutti l’opportunità di studiare o completare gli studi intrapresi. L’arredamento delle aule scolastiche era costituito da una lavagna, dalla classica cattedra per gli insegnanti e, per gli studenti, da banchi di legno chiaro; appese alle pareti c’erano delle carte geografiche non sempre aggiornate. Le camerate avevano letti a castello con ai piedi una sorta di cubi a cassetti per la biancheria. C’erano poi gli “stipetti” personali, cioè gli armadietti per gli abiti, le divise, l‘impermeabile, in cui però gli allievi custodivano anche i preziosissimi pacchi spediti dalle famiglie, contenenti soprattutto cibarie, i cosiddetti “generi di conforto”. Questi armadietti erano perciò sempre chiusi con robusti lucchetti, a chiave o a combinazione segreta.
Furono circa 500 i giovani ospitati in tutto nel collegio dal settembre 1946 al luglio 1951, con una media annuale di 250/260 presenze. I primi ad arrivare, nel settembre 1946, furono una trentina di ragazzi, provenienti prevalentemente da Fiume. Ad essi, durante quel primo anno scolastico, il 1946/47, se ne aggiunsero altri 28, provenienti dall’Istria, da Pola, da Zara, da Fiume, dalle Isole di Cherso e di Lussino. Venivano accompagnati ma spesso anche da soli, in un’età in cui oggi non lasceremmo assolutamente spostarsi senza accompagnamento i nostri figli e nipoti. Provenivano dai campi profughi o direttamente dall’Istria e dalle altre terre cedute alla Jugoslavia dopo fughe fortunose e perigliose e dopo aver attraversato l’Italia in treno o con altri mezzi usufruendo, lungo la strada, per mangiare e per dormire, di ogni possibile forma di assistenza – della Croce Rossa, dell’Opera Profughi,… - Spesso lasciavano uno o entrambi i genitori e fratelli e sorelle in difficoltà economiche o avevano fratelli o sorelle negli altri collegi per profughi sparsi per l’Italia. Certe famiglie si sono ricostituite – per così dire – solo quando questi giovani avevano finito gli studi, ma a volte nemmeno allora, perché magari, completato l’iter scolastico, avevano trovato lavoro e affetti lontano dagli altri.
“La vita all’interno del collegio - racconta Ennio Milanese – era scandita dai ferrei orari dell’ordine del giorno; la giornata iniziava alle ore 06.30 (07.30 i giorni festivi), alle ore 07.30 colazione, quindi prima mensa (pranzo) alle ore 13.00, seconda mensa (cena) alle ore 20.00, silenzio alle ore 21.00. L’OdG dà pure la ‘forza’ giornaliera degli allievi (presenti, in infermeria, in licenza, disponibili), dispone i turni di servizio degli istruttori, regola i turni di guardia degli allievi ... inoltre stabilisce la scansione temporale delle varie attività giornaliere … Gli allievi sono divisi in squadre che, al massimo della forza effettiva, saranno undici, la prima è formata dai maturandi, l’undicesima dai ragazzini della prima media. Ogni squadra è affidata ad un istitutore di ruolo. Sovrintende alla vita del collegio un direttore, coadiuvato da un vicedirettore”. Ma c’era anche, se non proprio fame, tanto appetito perché il bisogno di cibo dei giovani in crescita, specie dei maschi, sembra essere insaziabile e perché - come scrive Rudi Decleva – “250 era i posti e 250 le rette per la boba, ma la forza dei Allievi la xe arrivada ai 330, perché el Direttor Pietro Troili (liceo Scientifico de Fiume) nol se la sentiva de mandar via i Muli in esubero …” E poi c’erano i ceci, troppo presenti nel menu per essere graditi! E la faccenda dei ragazzi che tornavano in sede dalla scuola per ultimi e trovavano i cibi, non solo freddi, ma “limati” dai compagni arrivati per primi. Eppure, da questo collegio sono usciti medici, ufficiali militari, comandanti di marina, ingegneri, cuochi, e perfino un ambasciatore, a conferma della convinzione comune che il carattere si tempra attraverso alle difficoltà. Al primo direttore del collegio, il già citato prof. Pietro Troili, di Fiume, seguirono i professori Luigi Prandi, per un anno, e Ottorino Prosperi.
Dalla presenza in città dei giovani profughi, alla città di Brindisi derivò il vantaggio dell’apertura di un Liceo Scientifico e di un Istituto Nautico, dapprima come sedi staccate, rispettivamente del Liceo Scientifico A. Scacchi e dell’Istituto Nautico F. Caracciolo di Bari e in seguito come sedi autonome. Nel 1951 il collegio venne chiuso per difficoltà economiche e la struttura cadde lentamente nel degrado più totale, in cui tuttora versa, perché i diversi progetti per il suo riutilizzo - dopo un’adeguata ristrutturazione – non sono finora andati in porto. I Muli del Tommaseo hanno un sito internet (www.mulideltommaseo.it), un periodico, “La Zanzara”, dal nome del giornalino del collegio, che esce quattro volte all’anno, più eventuali edizioni speciali murali. Sono stati inoltre pubblicati i volumi: Allievi del Tommaseo, La nave Tommaseo, La nave d’argento, Il ricordo più lungo.
La Casa del Bambino Giuliano e Dalmata Oscar Sinigaglia di Merletto di Graglia
Nel 1949, a Corinna Escher fu affidata l’organizzazione e la direzione di una “Casa” per i maschi della scuola elementare a Merletto di Graglia, in provincia di Vercelli, ora in quella di Biella, che fu denominata “Casa del Bambino Giuliano e Dalmata” e, alla morte del grande benefattore dei bambini profughi, Oscar Sinigaglia, a lui intitolata. L’edificio prescelto era una bianca villa ottocentesca situata a Merletto, frazione di Graglia, comune delle Prealpi Biellesi Occidentali, a circa 600 metri sul livello del mare. Essa faceva parte di una tenuta, con un vasto parco - con alberi di diverse specie, atte a creare suggestivi effetti cromatici in tutte le stagioni dell’anno - e un frutteto. La tenuta venne acquistata nel 1947/48 dall’Opera Orfani di Guerra di Roma per farne la sede di una colonia estiva.
A partire dal novembre 1949 essa passò sotto la gestione dell’Opera Assistenza Profughi Giuliani e Dalmati e Rimpatriati di Roma e fu adibita a collegio per i ragazzi profughi dalla Dalmazia, dall’Istria e da Fiume, prendendo la denominazione di “Casa del Bambino Giuliano e Dalmata”. La Casa ospitò, oltre a bambini profughi, ragazzi orfani e provenienti dalle ex colonie dell’Abissinia, dell’Eritrea, della Somalia e di Tunisi.
La tenuta comprendeva una villa, una cascina, una stalla e fienili che furono, per quanto possibile, adattati alle necessità. La villa vera e propria, sempre cercando di rispettarne la struttura originale, fu ristrutturata due volte per poter accogliere anche la direzione, i dormitori, la sala giochi e tre aule scolastiche. Tuttavia, con l’affluenza di sempre nuovi alunni, questa struttura si dimostrò presto inadeguata e ne venne costruita una nuova, progettata allo scopo. In essa c’erano, oltre ai servizi, tre aule e un salone, che svolgeva anche la funzione di palestra e sala di ricreazione.
I bambini giungevano nella “Casa” nel corso di tutto l’anno, provenienti, generalmente, da famiglie ricoverate in campi profughi e, poiché appartenevano alla fascia della scuola elementare, vi fu aperta una sezione staccata di scuola elementare. Dopo la scuola elementare, se non rientravano in famiglia, i ragazzi potevano andare al collegio Fabio Filzi di Gorizia.
Corinna Escher merita di essere annoverata fra i grandi educatori dei figli dei profughi per l’impegno profuso nei loro confronti, in particolare durante i vent’anni trascorsi come direttrice della Casa del Bambino Giuliano e Dalmata di Merletto di Graglia. La sua esperienza come educatrice era iniziata negli Istituti per i figli degli Italiani all’estero, nati come colonie estive, che si trasformarono in strutture stabili quando, a causa della guerra, i ragazzi non poterono raggiungere i loro genitori. Essi erano sparsi un po’ ovunque sul territorio italiano.
In seguito Corinna Escher lavorò nella colonia per Orfani di Guerra di Sappada, su invito della direttrice della colonia, signorina Lucchetta, sua buona amica.
Fu grazie alla competenza lì acquisita che Aldo Clemente, il futuro Segretario Generale dell’Opera Profughi, la invitò, nel 1947, ad occuparsi dei figli dei profughi dei quali, in una progressione parallela di esperienza e di ruoli, si prese cura, da quell’anno in poi, fino al pensionamento.
Già nel 1947 era infatti a Roma, alla stazione delle Ferrovie dello Stato, assieme a Padre Flaminio Rocchi, ad accogliere i bambini profughi, maschi e femmine, che fuggivano dai loro paesi. Essi venivano poi sistemati nell’ex palazzo-ristorante del villaggio per gli operai addetti ai lavori dell’Esposizione Universale del 1942. Questo fu il primo centro di raccolta per bambini profughi, che accolse circa 150 bambini. Clemente presentò Corinna ai bambini con queste parole: “Gavevi un padre (Padre Flaminio Rocchi), adesso gavè anche una madre!”
Appena possibile, al suddetto palazzo si aggiunse una parte di quello di fronte, già destinato agli uffici, che all’inizio fu usato solo come dormitorio. Poi all’E 42 si lasciarono solo le femmine mentre i maschi vennero trasferiti in altre strutture, come l’istituto per orfani di Guerra di Cividale e il Fabio Filzi di Grado e Gorizia; i più deboli, maschi e femmine, furono inviati nei preventori di Sappada.
Dalla presenza della “Casa” il paese di Graglia ne ricavò dei vantaggi, come l’asfaltatura della strada in terra battuta, che andava dal paese di Graglia alla Casa del Bambino. Altra utilità ricavata dal paese dalla presenza del collegio fu l’installazione dell’energia elettrica, da parte della Società del Gas Torinese, per interessamento di Guglielmo Reiss Romoli. E, sempre grazie all’ interessamento di quest’ultimo, allora a capo della società telefonica STET, nella “Casa del Bambino” venne installato un telefono, che rimase per anni l’unico apparecchio della frazione, a disposizione della stessa in caso di necessità.
All’istituto non venne mai a mancare l’aiuto in natura degli industriali piemontesi sotto forma di tessuti per confezionare lenzuola, coperte, abiti per i bambini. Così essi poterono avere, col tempo, la loro bella divisa ufficiale - costituita da pantaloncini e giubbotto blu - grazie all’Opera Profughi e i pantaloni e i maglioni da tenere “in casa”, grazie ai tessuti regalati dagli industriali biellesi; a cui è dovuta la massima gratitudine”. L’attività della scuola durò vent’anni: 1949/1969, durante i quali ospitò oltre 600 bambini. Nel 1969, quando si decise di chiuderla, vi erano ancora iscritti 40 alunni, che vennero trasferiti in altri istituti. Nello stesso anno la direttrice Escher concluse la sua carriera di educatrice andando in quiescenza per raggiunti limiti d’età.
Dal testo di Carmen Palazzolo Debianchi
la Casa della Bambina e il Convitto Femminile del Villaggio Giuliano-dalmata di Roma
Il primo nucleo della “Casa della Bambina Giuliana e Dalmata”, successivamente denominata “Casa della Bambina Oscar e Marcella Sinigaglia” si costituì a Roma nel 1947, agli inizi del lungo esodo giuliano, fiumano e dalmata. Dapprima la struttura ospitò solo le bambine della scuola elementare e quelle dell’avviamento professionale, cui erano annessi speciali laboratori di perfezionamento in ricamo, taglio-cucito e maglieria.
La direzione della struttura fu affidata, a partire dal 1948, a Suor Maria Ambrosina Barzellato, nativa di Rovigno d’Istria, Madre Superiora dell’Ordine delle Figlie di S. Giuseppe di Venezia, che giunse a Roma con un gruppo di suore del suo ordine. Sotto la sua competente e ferma direzione, nonostante l’inadeguatezza dei locali e i limitati mezzi economici a disposizione, l’istituto divenne in breve uno dei migliori della capitale, dove si impartivano contenuti e si educava ai valori della religione, della patria e delle tradizioni istriane.
Furono sue valide collaboratrici innanzitutto le suore del suo Ordine religioso, affiancatele dai superiori, fra le quali vanno ricordate Madre Leonarda, con funzioni di capo-cuoca, Madre Michela, capo-infermiera, Madre Armanda, insegnante di religione. Non va poi dimenticato lo stuolo di assistenti/istitutrici che prestarono la loro opera nella struttura, preziose sorveglianti, accompagnatrici, guide e sostegno delle bambine e delle ragazze. Specie all’inizio erano quasi sempre anch’esse esuli, in seguito spesso ex alunne. Andrebbero menzionate tutte ma sono riuscita a recuperare solo i seguenti nomi: Mina Clean, Edda Cainer, Valnea Cherbassi e Loretta Vatta, presenti fin dall’E 42, mentre nel nuovo edificio operarono Tina Cocchini, Flavia Ostrogovich, Marisa Parovel, Luisella Lodi, Alida Sorgarello e Laura Sardo con funzioni di vice direttrice.
Suor Ambrosina diresse la “Casa della Bambina” per 21 anni, cioè fino al 1969 - in deroga alle norme del Diritto Canonico, secondo il quale una religiosa non può essere a capo di una comunità per più di sei anni – e poi fu destinata a un altro incarico. Le successe nella direzione della Casa della Bambina un’altra suora dello stesso Ordine religioso.
Nel 1956/57 venne costruito un convitto per le ragazze delle scuole superiori. Si trattava di un complesso di 1.600 mq di edifici e 6.400 mq esterni destinati al viale d’accesso, al campo sportivo e al parco la cui direzione fu affidata a Licia Zuccheri.
Nel 1960 alla Casa delle Bambina per le ragazze delle scuole elementari e dell’avviamento, poi della scuola media unificata, e al convitto per le più grandi, si aggiunse anche una scuola materna, che venne intitolata a Rita Valdoni, e un asilo-nido.
Nel tempo, oltre che ospitare gratuitamente le bambine e ragazze profughe, la struttura venne aperta, contro pagamento di una retta prestabilita, anche alle allieve non profughe residenti nei dintorni.
Gradatamente, la Casa della Bambina, con le sue 2/300 collegiali di tutte le età, divenne il fulcro della vita del Villaggio dell’EUR e del circondario perché, oltre che essere frequentata dalle figlie dei profughi deceduti o viventi lontano, era anche la scuola delle femmine (a quei tempi le classi erano rigorosamente divise per sesso) del Villaggio e del circondario; perché attirava la presenza di numerose Autorità civili, politiche, militari, religiose; perché vi si svolgevano spesso manifestazioni varie come festicciole natalizie e pasquali, saggi di fine anno o in occasione di qualche ricorrenza patriottica che, anch’essi, facevano confluire sul posto molti “grandi” del tempo; perché a ogni celebrazione significativa le bambine e le ragazze con le loro accompagnatrici sfilavano per il Villaggio nelle loro belle e ordinate divise per recarsi sul luogo delle cerimonie. Molto curate erano infatti, oltre alle discipline umanistiche e scientifiche, le attività manuali e pratiche, la recitazione, la ginnastica e il canto nelle quali ultime le ragazze davano prova nelle mostre e durante i numerosi saggi sia all’interno degli Istituti che altrove. Ai fini della preparazione corale la Casa della Bambina si avvalse infatti, fin dai primi tempi, di un maestro del coro, che fu prima il M.o Zeriav e poi il M.o Carlo Fabretto.
Ma, sia pur con lentezza e gradualità, anche il lungo esodo giuliano-dalmata finì e con esso l’arrivo di nuove bimbe e ragazze profughe nella Casa della Bambina; le vecchie alunne crebbero, tornarono nelle loro famiglie, trovarono un’occupazione, si sposarono e non ebbero più bisogno della vecchia scuola che, nel 1979, a seguito della legge sulla soppressione degli enti inutili, fu chiusa. (Carmen Palazzolo Debianchi)
Le origini del Filzi: Pisino
Fabio Filzi, pisinoto, volontario nell’Esercito Italiano; catturato sul fronte ed impiccato, quale disertore, il 12 luglio 1916, a Trento, Castello del Buon Consiglio, assieme a Cesare Battisti e Damiano Chiesa. Pisino ne onorò la memoria, intitolando col suo nome il Convitto Istriano.
Con la riapertura del Ginnasio, dopo il primo conflitto mondiale, avvenuta il 5 gennaio 1919, ritornarono a Pisino i ragazzi istriani che volevano continuare gli studi nel nostro Istituto. Nei primi tempi furono ospitati nelle case, come era avvenuto nel passato, ma ben presto si presentò la necessità di creare appositamente una sede, dove potessero essere accolti ed assistiti nelle ore extra scolastiche. A questo scopo si riunirono presso il Commissariato Civile, retto dal dott. Edoardo Galli, le autorità locali, e cioè il cav. Vittorio Maracchi, il preside del Ginnasio cav. Prof. Dalla piccola, i professori Valeriano Monti e Giuseppe Siderini quale Ispettore Scolastico. Il prof. Attilio Craglietto ricevette l’incarico di elaborare il progetto del nuovo Convitto di Pisino; presentato al Governo, fu concesso un iniziale, modesto, contributo di lire 30.000, con cui potè essere allestita una mensa con alloggio.
Il 5 novembre 1920 ebbe luogo la cerimonia di inaugurazione, alla presenza del senatore Mosconi, Commissario Generale per la Venezia Giulia. Furono messe a disposizione tre grandi stanze da usare come dormitorio, più una adibita a sala di studio ed una a refettorio. I primi alunni furono 22 e primo rettore fu Carlo Soresi, dal 1° ottobre 1921 al 30 giugno 1922. Il convitto fu ospitato nella casa Mrach; l’anno successivo i ragazzi aumentarono. Il collegio, nei primi anni, fu sovvenzionato dalla Società Sussidiatrice pro studenti poveri, dalla Commissione Regionale per gli orfani di guerra, dalla Provincia e dallo Stato.
Il pisinese Giovanni Maracchi, volontario di guerra e Assessore provinciale, intervenne presso il Governo affinché nel convitto di Pisino fossero riservati 80 posti gratuiti agli alunni poveri e meritevoli della Venezia Giulia. Il convitto, incrementando la sua attività, poté sperare di avere una sede propria, e nel 1923 stipulò il contratto di compravendita dell’edificio in cui aveva trovato ospitalità. Ma questa sede era ancora insufficiente, ed il consiglio di amministrazione si diede da fare per ottenere altri locali, il chè fu possibile quando le autorità militari procedettero allo sgombero dell’edificio ex Ginnasio croato. Si iniziarono i lavori di ristrutturazione, che procedettero per tutta l’estate; la spesa complessiva fu di lire 300.000. Gli alunni erano ormai più di duecento, ed il Ministero dell’Educazione Nazionale inviò un suo Ispettore per constatare l’efficienza dell’istituto; il risultato fu ottimo.
Il secondo rettore fu Domenico Giannini. Il convitto era ormai entrato nella vita di Pisino, che vedeva con simpatia le squadre dei ragazzi, nelle loro divise scure, avvolti d’inverno nelle mantelline, scendere la scalinata e percorrere, almeno due volte al giorno, il Corso, con i libri sottobraccio, marciando bene allineati sotto la guida dei loro Istitutori, per raggiungere il Ginnasio; e nel pomeriggio sciamare nei dintorni, per la passeggiata quotidiana.
I ragazzi venivano addestrati nella musica dal maestro Pischiutta, che nel 1926 compose l’Inno del convitto. Si affiatarono anche con i ragazzi delle scuole elementari, con i quali organizzarono un saggio di musica e recitazione. Venne formata anche una fanfara, che partecipava a tutte le cerimonie patriottiche e che sostituiva spesso la banda della Filarmonica, non sempre disponibile perché formata da elementi impegnati nel lavoro.
Nel 1932 venne pubblicato l’annuario che riportava i nominativi del personale e dei convittori, divisi in otto squadre sorvegliate da otto Istitutori. Il Rettore dell’epoca era il dott. Raffaele Pastore. Per la corrispondenza vennero create apposite cartoline.
Il convitto era in espansione, e non bastavano i locali della vecchia sede. Si pensò di traslocare nell’edificio destinato a Seminario croato, rimasto incompiuto durante la prima guerra; nel 1939 i lavori vennero ultimati. Alla fine dell’anno scolastico 1942-43 il convitto cessò la sua attività a causa degli eventi bellici. Nell’ottobre 1943 il rettore Berardinelli venne ucciso durante l’occupazione tedesca.
Nerina Feresini “Pisino: una città, un millennio 983-1983
I convittori erano oltre un centinaio, divisi in cinque squadre, secondo l’età; si cominciava dalla prima Ginnasio e si finiva alla quarta Liceo Scientifico. Ogni squadra aveva la sua camerata, spaziosa e luminosa, con i relativi servizi, e la propria tavolata nel refettorio con il proprio Istitutore. La sala esibiva il Crocifisso ed i ritratti del Re e del Duce. Nel convitto risiedevano anche il Rettore, nonché Podestà, dott. Vitale Berardinelli, ed il vice-rettore dott. Luigi Prandi con la famiglia.
Tutti gli allievi indossavano la divisa di panno blu scuro, la camicia bianca con cravatta e il berretto a visiera con corona e iniziali CI sormontate, Convitto Istriano. Sopra, ancora, una mantellina blu scuro, che poco riparava dai rigori invernali e dalla nebbia mattutina che si irradiava dalla Foiba, e copriva la cittadina come una nuvola, per poi diradarsi al sole del mattino. La domenica era obbligatorio assistere alla Santa Messa delle 10,30, celebrata dal Parroco mons. Gregori; i convittori dovevano occupare, in piedi, la navata centrale.
La prima domenica del mese era permesso andare a casa o ricevere la visita dei parenti; avendo io la famiglia a Pisino potevo godere un buon pranzetto, altro che il vitto che, causa il tempo di guerra, ci passava il convitto. Dopo pranzo si faceva una passeggiata nei dintorni di Pisino, e secondo un programma che, a rotazione, smistava le varie squadre nelle località adiacenti.
Dopo l’8 settembre ’43 ed i tragici avvenimenti, con l’insurrezione partigiana slavo-comunista e la repressione tedesca del 4 ottobre con l’uccisione del rettore sulla balconata del Convitto da parte delle SS naziste, il Convitto chiuse i battenti. Si salvò il vice-rettore dott. Prandi, che divenne in seguito direttore del Filzi “in esilio” a Grado prima e a Gorizia poi.
Nel dopoguerra l’edificio ritornò alla primitiva destinazione di Seminario croato, ma il calo delle vocazioni, e soprattutto l’ostilità del regime comunista di Tito verso la Chiesa, costrinsero alla chiusura.
Vittorio Pesle, convittore a Pisino fino al 1943.
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